ConferenzeGeneraleDiscorso di Antonio ALOISI all’inaugurazione dell’anno accademico 2013/14

Ottobre 24, 20130
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Care studentesse e cari studenti, benvenuti a tutti voi!

Nessuno me ne vorrà se stravolgo il protocollo e mi rivolgo direttamente ai miei colleghi (lo aveva fatto qualche tempo fa il professor Marchetti, e mi pare non abbia subìto particolari ritorsioni: esiste dunque un precedente autorevolissimo): tale sgarbo serve a marcare ancora più nettamente la rivoluzione tranquilla che fa sì che la voce degli allievi di quest’Accademia possa farsi sentire dal palco dell’inaugurazione, quest’anno per la prima volta nella centenaria storia bocconiana. È il segno di una direzione, ne sono convinto, verso cui abbiamo provato a correre tutti insieme. Rimettere i quasi quattordicimila studenti al centro di questo momento rappresenta una scommessa formidabile e non scontata, di cui avvertiamo tutta la responsabilità, e per cui ringraziamo i vertici dell’università.

Oggi è un giorno di gaudio e riflessione. L’intera comunità si ritrova a riflettere sul proprio destino e abbozza un bilancio dell’anno trascorso. Domani la stampa probabilmente titolerà che è andato in scena il rito dell’orgoglio made in via Sarfatti. Non è così. Alla presenza dell’Alumnus Vittorio Colao, del rettore Andrea Sironi, del presidente Mario Monti, del vice Luigi Guatri e del consigliere delegato Bruno Pavesi, questa grande famiglia fa i conti col proprio impegno e promette di dare concretezza ai propri punti di forza, correggendo i difetti e curvando i propri spigoli. Questo villaggio di frontiera è il posto in cui moltissimi si sentono a casa, da qui deriva il dovere di perfezionare la nostra dimora, in un processo solidale che includa docenti ed amministrativi.

Per molti anni, ho avuto l’opportunità di fare rappresentanza in questo Ateneo (ho da pochissimo concluso il mio percorso di studi in giurisprudenza) insieme ad una squadra di eccellenti colleghi e, soprattutto, amici cui va il merito di questa mia presenza inusuale, quassù. Ho imparato che quest’istituzione ha il pregio di conservare un’atmosfera domestica, pur nelle sue dimensioni globalizzate: è l’epicentro delle ambizioni di molti – per me è stato luogo di maturazione e slancio. La geografia urbana che racchiude questo quadrilatero universitario a sud di Milano è un laboratorio frettoloso in cui il futuro accade prima che ce ne accorgiamo.

E Milano – con le sue pupille rivolte sempre altrove – è il posto in cui il cambiamento può realizzarsi solo per opera delle comunità, in una dimensione mai individuale o, peggio, egoistica. Bocconi, per gran parte dei suoi studenti, rappresenta un mirabolante ascensore sociale, l’investimento della vita: il luogo in cui si realizzano sogni giovanili, si superano le prime difficoltà e si costruiscono reti in grado di accogliere i protagonisti futuri dell’economia e del diritto, in tutte le loro declinazioni – da professionisti ad amministratori pubblici, da manager a ricercatori, da regulators a cittadini responsabili.

A proposito del clima di concordia che non deve stupirvi, qualche decennio fa un illuminato capitano d’impresa come Adriano Olivetti scriveva che: «partecipando ogni giorno alla vita pulsante della fabbrica (e cos’è questo spazio se non un opificio di saperi?, n.d.r.), alle sue cose più piccole e alle sue cose più grandi, finiamo per amarla, per affezionarci e allora essa diventa veramente nostra, il lavoro diventa a poco a poco parte della nostra anima, diventa quindi una immensa forza spirituale». A questa elevazione culturale puntiamo tutti noi, membri di una comunità laica in cui un solo dogma vige: quello della partecipazione.

Non è solo un comizio d’affetto, il mio, perdonate l’eccesso di lirismo. Uno slogan del nostro marketing seduce al suono di empowering talent, quasi che i nostri successi fossero frutto di un’attitudine fortunata, forse prodigiosa. Credo, al contrario, che si possa oggi parlare della nostra Alma Mater come di un acceleratore di competenze, un hub di conoscenze, l’universo caotico in cui gli eroismi lasciano il posto alla curiosità ed una potentissima etica della normalità, che va tenuta al riparo dai riflettori per consentire a tutti di concentrarsi sui propri obiettivi. Ancora, per ribaltare un altro gettonato ritornello autoconsolatorio, dovremmo ammettere che è qui che si forma la prossima classe di-li-gen-te, una collettività in grado – per usare un’espressione abusata – di rimboccarsi le maniche e fare il suo, al netto dei sensazionalismi che ci vorrebbero sul tetto del mondo.

Una constituency del cambiamento si aggira per questi corridoi e vive gli anni bocconiani come un’occasione imperdibile per costruire progetti di futuro, in una società «piena di rumore e furore», per dirla con Macbeth, e comunque orfana di una visione lunga. Si respirano aria di indipendenza e voglia di mobilitazione, sebbene il segno meno sia quello più ricorrente, quando si leggono statistiche sulla salute del nostro Paese (crescita, fiducia, occupazione, ricchezza: tutte col segno meno), e nonostante “crisi” sia entrata di prepotenza tra le parole del lessico quotidiano. Abbiamo a che fare, sia chiaro, con uno smottamento culturale – prima ancora che socioeconomico. Da qui possiamo ripartire.

Per questo, sentiamo dunque la fiera urgenza dell’ora. Lo sappiamo benissimo, ma è bene ribadirlo a beneficio dei nostri ospiti: non abitiamo una lussuosa e imponente torre di marmo e vetro, vorremmo prendere a pernacchie il cliché che ci disegna ostaggio di una semplicità blindata e aggredire l’indifferenza che finisce per infettare alcuni tra noi. Viviamo la bellezza della condivisione e immaginiamo di poter contribuire, individualmente e collegialmente, a ridare fiato alla nostra generazione. Ho imparato che dissipare questa energia pulita è un crimine abominevole. È questo un incrocio meraviglioso cui si approda dopo aver abbandonato il proprio liceo e da cui si parte alla volta di mete prestigiose, avendo in mente – come di recente ha dichiarato il premier Letta – che il nostro Paese non merita di essere “né un outlet né Fort Apache”. Inclusione e competizione sono gli ingredienti del cemento che ci lega e che è in grado di edificare ponti tra passioni allegre e determinate di noi “viaggiatori leggeri”. Grazie a chi lavora per offrirci una struttura riconosciuta come eccellente, grazie alla tenacia di chi rimette insieme quello che si spezza, di chi ricuce quello che si strappa.

Noi ventenni – si sa – siamo piuttosto spensierati, ma fervidamente esigenti ed intransigenti. Vogliamo che le missioni annunciate dal Rettore nel discorso di un anno fa, in piena sintonia con la storica vocazione di questo Ateneo, incassino la totale dedizione della macchina amministrativa, brillantemente guidata e spesso sincronizzata con le lancette delle nostre richieste. Abbiamo bisogno di qualità ed eccellenza nella didattica, di internazionalizzare ancor più la nostra dimensione, senza perdere l’umanità con cui abbiamo scritto la nostra storia, di favorire già durante il triennio il percorso di ingresso nel mercato del lavoro, di rinsaldare la consonanza con gli Alumni sparsi per il mondo, di – in una parola – divergere da tutte le tendenze che biasimiamo, scommettendo su diritti e merito.

Cosa accade nel frattempo intorno a noi? Riusciamo ad interpretare le profonde trasformazioni e le contraddizioni del presente? «Nei periodi di grande cambiamento, quelli che stanno imparando ereditano il futuro, mentre quelli che già sanno tutto sono perfettamente equipaggiati per affrontare un mondo che non esiste più», ha detto Eric Hoffer, un filosofo americano del ‘900. Ne traggo un insegnamento per tutti, l’esortazione a proiettarci nel futuro e l’invito a trainare, con la nostra umiltà, i settori in cui opereremo. Dobbiamo essere avanguardia senza scordare chi è rimasto indietro, apprezziamo infatti gli sforzi di governance e faculty volti a favorire la partecipazione di quelli per cui la scelta di un percorso formativo in Bocconi sarebbe non sostenibile, riempendo di contenuti il concetto di diritto allo studio. Così come saremo curiosi di aggirarci tra gli spazi del nuovo Campus perfettamente integratocon la città metropolitana, a patto che le istituzioni e gli enti locali agevolino le procedure e abbiano il coraggio di mettere le migliaia di studenti fuorisede tra le priorità su cui investire.

Contro il bullismo di chi tifa rinuncia e predica sconfitta, siamo convinti che debba essere nostro compito suonare la campanella del risveglio da un torpore dannoso. Non può, questa comunità, dimenticare che il suo perno è nella componente studentesca. Non può disimparare il proprio mestiere di centro culturale votato alla formazione. Non possiamo scordarlo neppure noi, fortunati protagonisti di quest’avventura. E dobbiamo tradurre le nostre convinzioni in opere: «i pensieri e le persone si appartengono». Siamo all’erta, disponibili a coagulare il nostro attivismo e la nostra dedizione. Raccogliamo la sfida della tradizione che s’innova e ringraziamo chi si affida alle nostre doti e chi vorrà metterci alla prova.

Grazie!

Scarica il discorso in pdf dal sito di Unibocconi a questo link.

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