10 Dicembre - Giornata mondiale dei diritti umani
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(English Below)
In occasione della Giornata Mondiale dei Diritti Umani, si rinnova l'impegno della comunità internazionale a garantire standard comuni di tutela, a partire dal diritto fondamentale alla vita.
Come tentativo di dissociazione dalle atrocità compiute durante la Seconda Guerra Mondiale, tra alcuni Stati si instaurò l’idea che la tutela dei diritti umani non potesse più essere affidata solo a legislazioni nazionali, ma dovesse essere garantita mediante standard comuni a livello internazionale. I trattati nascono proprio per questo: per essere sia uno strumento giuridico di armonizzazione dei diritti tra gli Stati membri, sia uno strumento che attribuisce determinate competenze a organi comunitari, sottraendoli al potere nazionale. A livello universale, l’Organizzazione delle Nazioni Unite segnò un punto di svolta con l’adozione dei Patti Internazionali sui Diritti Civili e Politici nel 1966: uno strumento giuridico che rappresenta un insieme di diritti inderogabili e di libertà riconosciute all’uomo su cui gli Stati hanno l’obbligo di promuovere il rispetto e l’osservanza universale. L’articolo 6 riconosce il diritto alla vita come “inerente alla persona umana”, pur lasciando, per gli Stati che non avessero ancora abolito la pena di morte, la possibilità di adottare pene capitali nei casi di delitti più gravi, sempre nel rispetto degli obblighi derivanti dalla Convenzione sul genocidio. Tale apertura ha portato nel 1989 all’adozione del Secondo Protocollo Opzionale al ICCPR: esso impone in maniera assoluta un divieto per gli Stati ratificanti di reintroduzione della pena di morte. L’Italia ratificò tale protocollo nel 1994, impegnandosi attivamente nella lotta globale contro la pena capitale. In Europa, l’abolizione della pena di morte è diventata ancora più incisiva grazie alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), trattato del Consiglio d’Europa che ha introdotto un meccanismo giurisdizionale unico: per la prima volta questioni giuridiche tra privati aventi come oggetto diritti fondamentali dell’uomo potevano essere risolte da una corte sovranazionale: la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Le sue sentenze sono vincolanti per gli Stati aderenti, i quali sono tenuti a modificare eventuali disposizioni nazionali non conformi ai diritti nella Convenzione, in modo tale da assicurare che i diritti fondamentali vengano garantiti e riconosciuti su tutto il territorio europeo. Accanto alla CEDU, un ulteriore sistema di protezione è garantito dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, che ha acquisito valore giuridico al pari dei due Trattati dell’Unione Europea con il Trattato di Lisbona del 2009: essa amplia e rafforza i diritti fondamentali, includendo principi sociali, digitali e di dignità che riflettono l’evoluzione della società contemporanea. Le istituzioni dell'Unione Europea stessa, insieme ai tribunali nazionali, sono chiamate a interpretare il diritto interno in modo compatibile con la Carta, che si configura come una sorta di “costituzione dei diritti” dell’Unione europea. Per garantire il riconoscimento dei diritti presenti all’interno delle carte, troviamo ancora oggi numerosi dibattiti incentrati sulla pena di morte. Essa costituisce uno dei temi più complessi del diritto penale contemporaneo, poiché mette a confronto due principi fondamentali: da un lato, il potere punitivo dello Stato; dall’altro, il diritto inviolabile alla vita. Nei diversi ordinamenti giuridici del mondo, la pena capitale assume configurazioni eterogenee, rivelando come ogni sistema interpreti in modo diverso il limite entro cui può spingersi la sanzione penale. In Europa, l’abolizione è totale: la CEDU, con i Protocolli n. 6 e n. 13, vieta la pena di morte in ogni circostanza, espressione di una concezione della pena come strumento rieducativo e non retributivo. In America Latina il divieto è quasi universale. Al contrario, negli Stati Uniti, la disciplina varia da Stato a Stato: alcuni la mantengono, altri l’hanno abrogata, mostrando un pluralismo interno che riflette differenti visioni della giustizia e della sicurezza pubblica. In molti Paesi dell’Asia e del Medio Oriente, la pena capitale continua a essere prevista anche per reati politici, religiosi o di moralità pubblica, con evidenti tensioni rispetto agli standard internazionali di tutela dei diritti umani. Filosofi e giuristi di tutte le epoche si sono interrogati sulla legittimità dello Stato di togliere la vita. Tra i più influenti, Cesare Beccaria, nel XVIII secolo, nel trattato « Dei delitti e delle pene », denunciò l’inutilità e l’immoralità della pena capitale, sostenendo che lo Stato non può commettere ciò che vieta ai cittadini. Da allora la questione è divenuta centrale nella filosofia del diritto: se la pena deve essere proporzionata, razionale e preventiva, può realmente giustificarsi l’eliminazione fisica del reo? Oppure la pena di morte contraddice il nucleo essenziale del patto sociale e la concezione moderna della dignità umana? Nonostante i vari interventi universali e internazionali, la pena di morte è ancora presente in molti paesi civilizzati, fra cui 27 Stati degli USA. Solo nel 2024 sono state eseguite 25 pene capitali, cifra già superata quest’anno, con 30 esecuzioni. Un crimine legalizzato che, spesso, comporta la morte di innocenti. Un caso emblematico è quello di Cameron Todd Willingham, che suscitò scalpore nella città di Corsicana, in Texas. Uomo sposato con tre bambine, le quali vennero portate via da un incendio scatenatosi nella loro casa il 23 dicembre 1991. La moglie non era in casa, mentre Cameron riuscì a fuggire. Nonostante l’assenza di prove solide, quest’ultimo venne condannato di aver appiccato l’incendio per coprire abusi sulle bambine e la moglie. Le prove dell’incendio si basarono su ritrovamenti di parti carbonizzate sul pavimento, molteplici punti di innesco dell’incendio e il comportamento delle fiamme. Gli investigatori hanno ritenuto che l’incendio fosse stato provocato da un accelerante liquido, rilevato nella zona d’ingresso. L'accusa dipinse, inoltre, il sospettato come una persona antisociale, con scarsa empatia, schiva e misteriosa. Un ritratto confermato anche da alcuni vicini. Una testimonianza chiave fu quella di un detenuto, il quale affermò che Willingham avesse confessato il crimine in prigione; dichiarazione che si rivelò falsa. L’imputato si professò sempre innocente, rifiutando persino la proposta dell’ergastolo da parte del giudice. Venne condannato l’8 gennaio del 1992 e, sebbene ci fossero prove a sostegno della sua innocenza, furono negati appelli e tentativi di revisione. Nel 2004, poco prima della sua morte, l’investigatore indipendente Gerald Hurst sollevò persistenti dubbi sulla legittimità delle prove, affermando l’assenza di colposità. Ciononostante, Willingham fu giustiziato tramite un’iniezione letale il 17 febbraio del 2004 presso il penitenziario statale di Huntsville, Texas. Negli anni successivi, numerosi esperti e investigatori, tra cui Grann sul New Yorker, il Dr. Beyler e un articolo del Chicago Tribune, sostennero che le conclusioni degli investigatori originali si basassero su teorie obsolete e precarie per giustificare l'accertamento di incendio doloso. Tali tesi furono confermate anche da un collegio di quattro membri della Commissione di Scienze Forensi del Texas nel 2010. Questo caso, dunque, dimostra l’efferatezza e l'ingiustizia della pena di morte, soprattutto quando il processo non rispetta l’art. 10 del “giusto processo”.
di A. Pansini, D. Ancona, D. Contiguglia, S. Figlios

December 10th - World Human Rights Day
On the occasion of the World Human Rights Day, the international community renews its commitment to guarantee common standards of protection, starting from the fundamental right to life.
As an attempt to distance themselves from the atrocities committed during the Second World War, among some States the idea arose that the protection of human rights could no longer be entrusted only to national legislation, but had to be guaranteed through common standards at an international level. Treaties were created precisely for this: to be both a legal instrument for harmonizing rights among member States, and an instrument that assigns certain powers to community bodies, removing them from national authority. At a universal level, the United Nations marked a turning point with the adoption of the International Covenants on Civil and Political Rights in 1966: a legal instrument representing a set of non- derogable rights and freedoms recognized to human beings, which States are obliged to promote in terms of universal respect and observance. Article 6 recognizes the right to life as “inherent to the human person”, while still leaving, for States that had not yet abolished the death penalty, the possibility to adopt capital punishment in cases of the most serious crimes, always respecting the obligations deriving from the Genocide Convention. This opening led in 1989 to the adoption of the Second Optional Protocol to the ICCPR: it imposes an absolute prohibition for ratifying States on reintroducing the death penalty. Italy ratified this protocol in 1994, committing itself actively to the global fight against capital punishment. In Europe, the abolition of the death penalty became even more incisive thanks to the European Convention on Human Rights (ECHR), a treaty of the Council of Europe that introduced a unique judicial mechanism: for the first time, legal issues between private individuals concerning fundamental human rights could be resolved by a supranational court: the European Court of Human Rights. Its rulings are binding for the adhering States, which are required to modify any national provisions not conforming to the rights in the Convention, in order to ensure that fundamental rights are guaranteed and recognized throughout the European territory. Alongside the ECHR, an additional protection system is guaranteed by the Charter of Fundamental Rights of the European Union, which acquired legal value equal to the two Treaties of the European Union with the Lisbon Treaty of 2009: it expands and strengthens fundamental rights, including social, digital, and dignity principles that reflect the evolution of contemporary society. The institutions of the European Union itself, together with national courts, are called to interpret domestic law in a way compatible with the Charter, which constitutes a sort of “constitution of rights” of the European Union. To guarantee the recognition of the rights present within these charters, we still find today numerous debates centered on the death penalty. It represents one of the most complex themes of contemporary criminal law, as it brings into comparison two fundamental principles: on one side, the punitive power of the State; on the other, the inviolable right to life. In the various legal systems of the world, capital punishment takes on heterogeneous forms, revealing how each system interprets differently the limit within which criminal sanctions may extend. In Europe, abolition is total: the ECHR, with Protocols No. 6 and No. 13, bans the death penalty in all circumstances, expressing a conception of punishment as a rehabilitative and not retributive tool. In Latin America, the prohibition is almost universal. Conversely, in the United States, the rules vary from State to State: some maintain it, others have abolished it, showing an internal pluralism that reflects different visions of justice and public safety. In many countries of Asia and the Middle East, capital punishment continues to be applied even for political, religious, or morality- related crimes, revealing evident tensions with international standards of human rights protection. Philosophers and jurists of all eras have questioned the legitimacy of the State to take life. Among the most influential, Cesare Beccaria, in the 18th century, in the treatise “On Crimes and Punishments”, denounced the uselessness and immorality of capital punishment, arguing that the State cannot commit what it forbids its citizens to do. Since then, the issue has become central in the philosophy of law: if punishment must be proportionate, rational, and preventive, can the physical elimination of the offender truly be justified? Or does the death penalty contradict the essential core of the social contract and the modern conception of human dignity? Despite the various universal and international interventions, the death penalty is still present in many civilized countries, including 27 States of the USA. In 2024 alone, 25 executions were carried out, a figure already surpassed this year, with 30 executions. A legalized crime that often results in the death of innocent people. An emblematic case is that of Cameron Todd Willingham, which caused a stir in the city of Corsicana, Texas. A married man with three little daughters, who were taken away by a fire that broke out in their home on December 23, 1991. The wife was not at home, while Cameron managed to escape. Despite the absence of solid evidence, he was convicted of having started the fire to cover up abuse against the daughters and the wife. The fire evidence was based on the discovery of charred areas on the floor, multiple ignition points, and the behavior of the flames. Investigators believed the fire had been caused by a liquid accelerant, detected near the entrance area. The prosecution also portrayed the suspect as an antisocial person, with little empathy, withdrawn and mysterious. A depiction confirmed by some neighbors. A key testimony came from an inmate, who claimed that Willingham had confessed the crime in prison; a claim that later proved false. The defendant always professed his innocence, even refusing the judge’s offer of life imprisonment. He was convicted on January 8, 1992, and although there was evidence supporting his innocence, appeals and attempts at review were denied. In 2004, shortly before his death, independent investigator Gerald Hurst raised persistent doubts about the legitimacy of the evidence, stating the absence of intentional wrongdoing. Nonetheless, Willingham was executed by lethal injection on February 17, 2004 at the Huntsville State Penitentiary, Texas. In the following years, numerous experts and investigators, including Grann in the New Yorker, Dr. Beyler, and an article from the Chicago Tribune, argued that the original investigators’ conclusions were based on outdated and weak theories to justify the determination of arson. These claims were also confirmed by a four-member panel of the Texas Forensic Science Commission in 2010. This case, therefore, demonstrates the brutality and injustice of the death penalty, especially when the process does not respect Art. 10 on “fair trial”.
by A. Pansini, D. Ancona, D. Contiguglia, S. Figlios





